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Uno scritto a caso

LA MIA STORIA CON A.G.
[scritto]
Carlo Salvadorini
06.10.2009

Storie di Vally Sabbà  V capitolo

Le pagine di Stefania

Le pagine di Stefania
Con noi, giovani "reclute", Stefania si comportava ora da madre tenera e rassicurante, ora da maestra ferma e decisa, mai dispotica, in ogni caso il nostro punto di riferimento, nei momenti difficili.
Di momenti difficili Stefania ne aveva avuti tanti, ma sapeva affrontarli con dignità e coraggio, spesso ironizzando sugli incresciosi episodi, "le disordinate pagine della sua vita", che non riusciva a correggere.
La donna non amava piangersi addosso o forse, non amava scoprire il lato più fragile di sé.
Solo una volta, e con me soltanto, si lasciò andare.
Ci eravamo incontrate al parco, lei in pensione, io docente universitaria. La vidi trasognata, come stesse sorridendo alle nuvole.
"Ciao, Stefania!", la salutai, avvicinandomi piano per non spaventarla.
"Susanna, che piacere vederti, dopo tutti questi anni! Stavo rivivendo una scheggia del mio passato da maestra. Siediti, che ti racconto!", mi disse riprendendo l'aspetto a lei più congeniale, di una donna senza timore e senza tempo, che non aveva bisogno di chiedere per essere ascoltata.
Si fece più in là per darmi spazio sulla panchina e iniziò:
"Ho incontrato una persona che mi ha fatto tornare a un giorno assai lontano.
Sono a scuola, puntuale come sempre, ma dopo l'ennesima nottata per l'ultimo dei miei figli, faccio fatica a tenere gli occhi aperti. Tuttavia, in qualche modo devo dare inizio alla mia giornata.
"Ragazzi, oggi si fa Storia. parleremo della Seconda Guerra Mondiale", è il mio annuncio. Poi, mi fermo per raccattare le idee su un argomento di cui potrei dichiararmi testimone.
Io, la fine di quella guerra, l'ho vissuta.
Ma stamattina, di memoria, neppure l'ombra.
E' tutto così confuso nella mia testa, che mi assale il dubbio di vivere il proseguo di uno strano sogno, che ultimamente mi perseguita nelle mie risicate fasi crepuscolari, nell'affannosa ricerca dei miei abiti e, quando li trovo, non sono più abiti, ma nozioni scolastiche.
A svegliarmi ci pensa il silenzio: gli alunni, che prima dell'inizio di ogni lezione, sono capaci di un chiasso infernale, ora mi guardano stupiti, come se al posto dell'insegnante ci sia una sconosciuta.
Un'insegnante, al momento, sconosciuta anche a se stessa, che ha solo voglia di poggiarsi sulla cattedra, chiudere gli occhi e dormire, dormire e ancora dormire.
"E la Terza Guerra d'Indipendenza, la saltiamo?", azzarda uno, dandomi la strizza.
"Non la saltiamo, torneremo a quella domani. Per oggi, un cenno alla Grande Guerra, giacché ieri ho visto in t.v. un documentario sulla Shoah", rispondo meravigliandomi di ciò che dico. Un qualche documentario c'è stato; ero io che non c'ero davanti la t.v. e non ricordo neppure cosa avessi fatto..
Correggevo i loro compiti? Quelli dei miei figli? Ascoltavo le paturnie adolescenziali della maggiore? Cantavo l'interminabile nenia con la speranza che il figlio delle nottate si "abbioccasse"? Fingevo di ascoltare le litanie del marito sullo stringere la cinghia, perché nella nostra casa si spendeva troppo? Ero in cucina a preparare la cena o a stirare i panni, la cui enorme cesta, ogni volta mi riportava alla moltiplicazione dei pani e dei pesci?
Niente di miracoloso, purtroppo, a parte il fatto che riuscissi a mantenermi ancora in piedi.
Nei miei giorni normali entro in classe lasciandomi alle spalle i problemi della famiglia, quasi come una liberazione.
Stamattina, invece, ogni cosa mi arriva sfuocata, irreale, incerta.
"Quel documentario l'hanno trasmesso l'altro ieri", puntualizza un altro dagli occhi celesti come il mare in bonaccia, ma taglienti quale filata lama di coltello.
Lo strozzerei, se ne avessi la forza.
"E' vero! Dovevo accertarmi se eravate attenti!" proseguo il più velocemente possibile, affinché non abbia il tempo di replicare.
"Incominciamo con le premesse. Forse alcuni dei vostri nonni, che hanno vissuto quel periodo ve ne hanno parlato."
Spero siano in tanti ad alzar la mano, perché sono sempre in tanti ad alzarla nel gesto del tutto automatico, anche quando non hanno nulla da dire, come fosse il modo di arrivare primi da qualche parte.
Io, intanto mi impegnerei nell'estremo sforzo di riprendermi o, perlomeno, di bloccare gli sbadigli.
Invece, silenzio, il silenzio più assoluto e innaturale.
Lo fanno apposta? Ce l'hanno con me?
All'improvviso, una vocina:
"Maestra, è vero che la Polonia fu protagonista in quella guerra? Me l'ha detto mio nonno, che è nato in Polonia".
E' Nico, un fanciullo dalle potenzialità limitate, che tengo accanto alla cattedra per seguirlo meglio nei miei giorni normali. Mi stupisce la correttezza di linguaggio, accompagnata dalla luce che brilla nei suoi occhi, per la gioia di essere arrivato primo alla risposta.
Lo guardo riconoscente, tentando, io pure, di esprimermi in qualche modo.
"Bravo! Dunque...dunque...tuo nonno...", mi fermo nel blak-hout più assoluto, alla disperata ricerca della parola giusta, magari di un sinonimo per dare completezza al discorso.
Tabula rasa. Di certo non sono io in questo momento, ma un'altra di me, quasi un'aliena, capitata lì per caso, che non riesce a comunicare con i piccoli umani, stupiti, tuttavia pazienti, in attesa del proseguo.
"Era Polognese, tuo nonno?", è la stupidaggine che mi esce dalla bocca..
"Mio nonno è Polognese!", farfuglia il poverino, determinato nel puntualizzare sul presente del verbo, giacché suo nonno è ancora vivo e vegeto.
Risate generali, non contro di me. Malgrado la stranezza del mio essere stamattina, i miei alunni mai e poi mai ammetterebbero che la loro maestra possa sbagliare così tanto..
"Stupido, si dice Polacco! Non hai capito che oggi la maestra lo fa apposta per coglierci in fallo e vedere se stiamo attenti?", un'altra voce rimbomba dall'ultimo banco. E' il ripetente, che non si immischia mai nei fatti degli altri, tanto è sempre preso a farsi quelli suoi. E se qualcuno tenta di socializzare con lui, lo blocca un "fatti i....! e "vaffa'...!". I compagni, perciò, rimangono stupiti per il suo intervento, di sicuro non motivato dal desiderio di gloria. Io, invece, seppure con la testa ancora in confusione, capisco che lui ha capito, e mi sta ripagando della fiducia che gli ho riposto, al suo arrivo nella mia Quinta, dopo la bocciatura, accompagnato dalle referenze dei" fatti i ... e i vaffa'!", distribuiti a destra e a manca.
Il ragazzo, che all'inizio ostentava il disinteresse per tutto quanto gli si svolgeva intorno, con la testa poggiata sulla mano, gli occhi chiusi, come preso da noia, ha mostrato in seguito intelligenza e maturità superiori alla norma, ed oggi mi viene in soccorso, con un ammiccante sorriso.
Anch'io gli sorrido, poi, elargendo a Nico una fugace carezza:
"E' così , Nico, si dice Polacco", confermo senza ombra di rimorso, mentre lui mi guarda triste e sconsolato...."
Rivivendo quel giorno, Stefania attorcigliava fra le dita la lunga collana, di cui era solita adornarsi, in un gesto che le veniva spontaneo quando doveva riflettere. Si fermò un attimo per guardarmi, e sorridendo concluse:
"Se ne fanno di errori, anche nel nostro mestiere, che dovrebbe essere uno dei mestieri più nobili del mondo. Sono stati scritti libri, copioni per films, documentari sulle realtà di alcune scomode periferie, in cui vivono tanti dei nostri fanciulli, sul loro modo di esprimersi, di comportarsi. Chi ne parla dall'alto della sua pedana è quasi sempre un maestro. Ma per la par condicio, quel maestro farebbe bene anche a parlare dei suoi errori. Peccati veniali, se dovuti a momentanea stanchezza. Il coraggio di ammetterli, poi, aiuterebbe l'ago della bilancia a scendere dalla parte del piatto ricolmo della pazienza, dell'abnegazione, soprattutto dell'amore che vi ha speso sin dal primo momento.
Io quel coraggio l'ho sempre avuto, a parte quella mattina, perché troppo spaventata dal mio malessere, dall'impossibilità di tenere sotto controllo le mie sensazioni, che non erano affatto gradevoli, dopo tanta mancanza di sonno. Per fortuna, la durata di quei miei giorni incerti, durò poco, e ripagai Nico con lezioni di recupero a casa, organizzando il mio tempo affinché che ce ne fosse anche per lui. Quasi un figlio, insieme agli altri figli, non mi pesò più di tanto.
Poco fa ho rivisto Nico, qui al Parco. Stavo facendo la solita passeggiata allorché mi sono sentita abbracciare da un uomo con un bimbo in braccio ed uno attaccato ai pantaloni.
"Maestra, come sono felice di rivederti! Ne è passato di tempo! Ma io non ti ho dimenticata. Non finirò mai di ringraziarti per tutto quello che hai fatto per me1 Mi sono diplomato al Professionale; ho un buon lavoro, una bella famiglia. Questi sono due dei miei figli. Ne ho un altro, ma è grande, ormai, e se ne sta per i fatti suoi. Grazie, maestra, grazie!", non la finiva più di parlarmi e abbracciarmi.
"Sono io che devo ingraziare te!", sono riuscita a dirgli quando ha allentato la stretta.
Ero sincera e commossa.
Nico era sincero e commosso, ma anche perplesso.
"Perché mi ringrazia? Colpa dell'età?", si sarà chiesto mentre io mi facevo prendere dalla nostalgia per i miei lontani giorni da maestra, non escludendo quelli del "Polognese"...
Stefania mi aveva messo a conoscenza di alcune pagine della sua vita del tutto inedite; non aveva bisogno né di commenti né di conferme. Come accadeva in passato, le sue storie erano come parabole, dalle quali noi giovani dovevamo trarre il giusto valore.
"Sono contenta di averti rivista, Susanna, ma ora devo andare. L'aria è molto fredda; potrebbe nuocere alle mie ossa, già raschiate dal tempo!", ironizzando sullo stato della sua salute, si accomiatò, per avviarsi lungo il viale del ritorno. Il passo era stanco, la schiena incurvata, il respiro affannoso. Avrei voluto aiutarla, ma non lo feci, perché, orgogliosa com'era, non avrebbe sopportato la mia compassione e si sarebbe infastidita.
"Ti lascio il mio segreto; fanne buon uso!", mi disse con un ultimo cenno della mano, prima di confondersi tra la gente. Solo la voce era rimasta tale e quale: sicura e perentoria nel lasciarmi un'"eredità", non sempre facile da gestire...



(continua)


Vally Sabbà pubblicato il 23.03.2010 [Testo]


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